Un tempo era bello credere a Gesù bambino che portava i regali. Era  divertente giocare con la fantasia.Ora non serve. Consumiamo tutto  l'anno e genitori e figli sono senza desideri.Nonostante manchi quasi un  mese al 25 dicembre sono già cominciate le feste di Natale. Le città  sono tutte piene di luminarie e i negozi pavesati a festa, in qualche  paese è già stato allestito il presepe dove i pastori o i Magi hanno le  sembianze di Battisti, di Clinton e di altri personaggi dell'attualità.  Diciamo la verità: anche il Natale è diventato una festa insopportabile.  Un tempo era la più bella e la più attesa, anche perché era l'unica.  Noi bambini l'aspettavamo spasmodicamente tutto l'anno. E quando  finalmente arrivava, e si consumava rapidamente in quella magica notte  del 24, eravamo come colti di sorpresa. Ma anche gli adulti lo vivevano  con la stessa intensità e commozione.
Lo so, per riflesso, dai volti dei miei genitori. Lo so, di persona,  perché anch'io vissi così i miei primi Natali da adulto e, in seguito,  da padre. Il Natale era ancora, negli anni Cinquanta e nei primi anni  Sessanta, una festa che aveva qualcosa a che fare con lo spirito e con  l'anima. Non era necessario essere cristiani per pensare che in quella  notte si compiva un evento straordinario, che per i credenti era la  nascita di Gesù, e per gli altri (per me, per esempio, che sono di  madrepatria russa, dove si festeggia non Cristo ma «papà Gelo» ) era  qualcosa di magico e di fatato, di irrazionale, di incomprensibile.  Pensavamo sul serio che il giorno di Natale gli uomini fossero tutti un  poco più buoni. Ricordo ancora la mia sorpresa quando, già ventunenne,  un vigile mi appioppò una multa per sosta vietata proprio la notte del  24 dicembre. «Ma è Natale», gli dissi. Secondo quel me ragazzo i vigili  non avrebbero dovuto dare multe in una notte come quella. Perche anche i  vigili, a Natale, doveva- no,essere più buoni, più tolleranti, più  comprensivi. E inutile dire che ho creduto a Babbo Natale fino ai limiti  dell'impossibile. E guardavo con disdegno e con un certo orrore il  compagnuccio di scuola, già scafato e saputello, che voleva convincermi  che Babbo Natale non esisteva e che era tutto un imbroglio. 
La notte di Natale, dopo che i miei mi avevano messo a letto, cantavo a  squarciagola nel tentativo di non addormentarmi e di beccarlo quando  arrivava. Ma regolarmente mi assopivo prima della fatidica mezzanotte  consentendo così a mio padre, a mia madre e a mia sorella, più grande di  me di nove anni, di preparare l'albero. Perchè a casa mia anche  l'albero veniva portato da Babbo Natale insieme con le ghirlande, i fili  d'angelo, le candeline, le palle e gli altri oggettini di vetro  gonfiato che lo addobbavano. Ed era sempre un pino alto fino al  soffitto, enorme, perché così voleva mia madre in ricordo della sua  terra russa.
Credo che nulla potrà mai restituirmi la magia di quel momento in cui i  miei mi permettevano di entrare nella sala abbuiata dalle tapparelle  abbassate e vedevo l'albero illuminato dalle candele e sotto, nella  penombra, i pacchetti con i regali. Perche, certo, c'erano anche i  regali, chiesti con regolare lettera, correttamente francobollata e  indirizzata con precisione «a Babbo Natale, in Cielo»: i soldatini, il  teatro delle marionette, un gioco di società, un libro di figure, kit  del piccolo prestigiatore e per i bambini ricchi, ma davvero ricchi, il  trenino elettrico. Povere cose, semplici cose, rispetto a quello che  ricevono i bambini e i ragazzi d'oggi, abituati a ben altro e a girare  col denaro in tasca, ma che per noi coniugavano la parola proibita,  «felicità», perché, assieme a quelli del compleanno, erano i soli giochi  che ricevevamo nell'arco di dodici mesi durante i quali avremmo dovuto  fare con quelli o con quegli altri creati dalla nostra inesausta  fantasia. 
Oggi il Natale è una festa come un'altra. Anzi un «evento» come un  altro. Vale la Pasqua, il carnevale, la Festa della mamma, del papà, dei  fidanzati, un concerto dei Take That, l'arrivo di Madonna o di Robbie  Williams, il Festival di Sanremo, la gara di Formula Uno, Wimbledon, i  Campionati del mondo, i Campionati d'Europa, la Champions League, la  Coppa Uefa, la Coppa delle coppe, il Festival di Venezia, quello di  Cannes, le sfilate di moda di Milano, di Roma, di Parigi, di New York e  gli altri mille «eventi» che ogni giorno le Tv ci rimandano da tutto il  mondo.Le città accendono le loro luminarie e i negozi infiocchettano e  abbelliscono le loro vetrine. Ma cosa possono mostrare di più e di  diverso dalla cornucopia di beni di cui fanno offerta tutto l'anno? E  che cosa può desiderare un ragazzo che ha già tutto? Per il quale il  computer simula perfettamente quei giochi che noi ci dovevamo inventare  con i tollini, con i tappi di sughero, con le latte, con le piste  disegnate col gesso? Cosa può ancora vedere, cosa lo può incuriosire,  dopo che la tivù gli ha fatto vedere tutto? Noi avevamo gli animali di  terracotta e qualche volta -ed era un avvenimento -ci portavano allo  zoo, questi hanno le trasmissioni di Piero Angela dove anche i  misteriosi è mostruosi accoppiamenti negli abissi marini vengono svelati  fin nel dettaglio. 
Il Natale è una festa commerciale, come tutta la nostra vita. Per questo  si comincia a battere la grancassa un mese prima. E' una  sovraeccitazione drogata, pilotata, penosa, fastidiosa e inutile perché  c'è poco da eccitare in una società estenuata, sfibrata, che vive in  perenne stato di overdose. La felicità è un attimo che non può essere  dilatato. E Natale non è più Natale perché adesso è Natale tutto l'anno. 
Massimo Fini
via http://www.ilribelle.com
(un post serio ogni tanto...... scritto da chi sa scrivere)