Il Camino Ingles (26/6 – 30/6/10) – appunti sul nostro cammino
Intro
Era forse l’inizio di quest anno. Ele guardava in tv un documentario sul cammino di Santiago e ne restava affascinata. Io invece studiacchiavo spagnolo su http://www.livemocha.com/ da un paio di mesi senza aver in progetto nessun viaggio (e senza grandi risultati), ma solo per il piacere di imparare qualcosa di nuovo. E’ così che un giorno scambiando due parole come tante volte mi dice che vorrebbe fare questa cosa in Spagna, questo cammino di più di 700 Km verso la città dedicata all’apostolo Giacomo, che si chiama come mio suocero che è morto l’anno scorso e io come se fossi un avventuriero, un viaggiatore abituale o un atleta che dico “certo, perché no! Sto anche studiando lo spagnolo”.
Forse non saranno motivazioni propriamente religiose, ma sembra proprio che questo viaggio ci abbia chiamato. Io non so niente del cammino di Santiago se non le poche cose che mi ha descritto Ele del documentario che aveva visto e so già che toccherà a me tutta la parte organizzativa, un bell’impegno dato che non ho mai viaggiato (se non per andare al mare/montagna, Roma o Venezia) e non so proprio da che parte si cominci.
Sto già pensando ad una scusa per rimandare tutto all’infinito, è la mia specialità spostare gli impegni o i problemi fino a quando mi crollano tutti addosso in un momento ma decido (e non so ancora il perché) di darmi da fare. Internet naturalmente è una fonte inesauribile di informazioni su ogni argomento e poco alla volta scopro quello che mi serve. Non abbiamo ancora definito le date possibili o la città di partenza, ma so che servirà la credenziale, un documento particolare per poter alloggiare negli ostelli per i pellegrini.
E allora comicio da qui: una volta in possesso della credenziale considererò l’impegno come “preso” e porterò a termine la missione (se non siete pigri di natura forse non riuscirete a capirmi...).
Avrei potuto tranquillamente compilare l’asettico modulo per richiederla sul sito della confraternita di san Giacomo in Italia e farmela spedire a casa, ma scopro che ci sono persone che si occupano di questa cosa anche in Lombardia e decido di contattare la persona che vive più vicino a noi. Era una bella domenica mattina di febbraio e andiamo a Gavardo dalla signora Elena Manzoni che è un priore della confraternita e si occupa di consegnare le credenziali ai pellegrini in provincia di Brescia. Una bella chiacchierata che mi ha fatto cambiare idea su molte cose. Sul fatto che, motivazioni personali a parte, resti sempre e comunque un pellegrinaggio e non una gita o un’impresa sportiva, sull’importanza di non cominciarlo in un punto qualsiasi, ma dall’inizio, sull’importanza del camminare da soli per poter incontrare se stessi e gli altri, potendo contare sugli altri come una volta si poteva “contare sulla provvidenza”. Ci ha dato anche ottimi consigli sull’attrezzatura da usare, su cosa mettere nello zaino, ci ha raccontato con entusiasmo il suo cammino, come se l’avesse fatto il mese prima e non nel 1987, ci ha descritto anche altri cammini verso Santiago, non solo il francese che è il più famoso e più frequentato. Tra le varie cose, parlando di motivazioni, ci ha detto di una pellegrina che faceva il cammino come “ringraziamento” per i cinquant’anni di matrimonio (questa cosa mi è rimasta impressa e se leggerete questo post fino alla fine capirete anche il perché) e mi ha consigliato di leggere il portico della gloria (http://www.ilporticodellagloria.it/) di Davide Gandini. Dopo un’ora c’erano già altre cinque persone a ritirare la loro credenziale, quest’anno è anno santo Xacobeo (perché la festa di san Giacomo, il 25 luglio, cade di domenica) e il cammino sarà molto frequentato.
Esco dalla bella casa della signora Elena con la voglia di partire, ma con qualche dubbio in più: quando partiamo e da dove? Quest’anno ho solo due settimane di ferie ad agosto e potremmo fare la prima parte per concluderlo un altro anno. Ele ha anche una settimana a fine giugno e io ho comunque anche qualche feria dell’anno scorso, ma di avere un mese consecutivo purtroppo non se ne parla.
Da febbraio ad aprile decido di non fare più il cammino francese. Ho letto il libro di Gandini che mi ha affascinato a tal punto da farmi abbandonare l’idea di farne solo una parte quest’anno e concluderlo un’altra volta: se mai iniziassi questo cammino lo dovrò fare tutto anche se dovessi aspettare fino all’età della pensione. Non voglio nemmeno fare gli ultimi 100 km “turistici” per guadagnarmi la compostela, ma nel frattempo sono riuscito ad avere una settimana di ferie a giugno nello stesso periodo di Ele. E’ da qui che parte l’idea di fare il camino ingles, è breve e si può fare in quattro/cinque giorni, è un cammino completo, con il suo inizio e la sua fine e se facessimo questo in giugno le due settimane di agosto le potrò usare per far qualcos’altro. Ho deciso io per tutti, Ele è un po’ perplessa, ma sa che non può farci niente, se vuole che io venga con lei mi lascerà organizzare tutto, oppure può far tutto da sola, viaggio compreso, molte persone partono da sole, anzi, la signora Manzoni lo consiglia vivamente ma non è il nostro caso, almeno non per questa volta.
Il viaggio (25/6/10)
Decisa la data non resta che trovare il mezzo per raggiungere Ferrol, città da dove parte il camino ingles. A onor del vero si potrebbe partire anche da A Coruna, dove c’è anche un comodo aeroporto, ma il cammino sarebbe più breve (88km). Col senno di poi un giro in quella città andrebbe fatto, chi ci è stato me ne ha parlato molto bene.
Arrivare a Ferrol in treno o con l’automobile è possibile, ma ci obbligherebbe a due giorni di viaggio sia per l’andata che per il ritorno e non abbiamo tutto questo tempo. Optiamo per l’aereo, primo perché sarà il nostro primo volo e secondo perché con i voli low cost ormai volare è alla portata di tutte le tasche. Il primo decollo è stato davvero emozionante ed è stato proprio un vero peccato non poter scattare una foto a Ele, tesa come un archetto che sarebbe valsa più di mille parole.
Dobbiamo fare scalo a Madrid da Bergamo e scopro troppo tardi che c’è un bel treno con cuccette che fa la tratta Madrid-Ferrol di notte, l’avrei preso sicuramente se non avessi già comprato il volo Madrid-Santiago, avrei evitato volentieri di arrivare nella città santa in aereo prima di aver percorso il cammino, però dall’aeroporto alla stazione dei bus dove prenderemo l’autobus per Ferrol c’è solo autostrada e periferia, in pratica è come non esserci mai stati. Il tempo di una bibita e una rinfrescata e siamo già sul bus che ci porterà a destinazione in poco più di un’ora, ma nel trambusto della stazione all’ora di punta non si può fare a meno di non notare i primi pellegrini che come noi sono arrivati a Santiago e devono raggiungere la località di inizio del proprio cammino oppure quelli che il cammino l’hanno già finito (hanno tutti le scarpe impolveratissime e sembrano zoppicare) e devono tornare a casa.
I primi approcci col “gallego” non sono senza difficoltà, soprattutto quando qualcuno ci rivolge la parola per avere informazioni, ma quando le informazioni servivano a noi, in un modo o nell’altro siamo sempre riusciti a capire, infatti appena giunti a Ferrol, ci siamo fatti indicare la strada per il nostro albergo da più di una persona e prima delle 20 eravamo in camera.
A Ferrol (25/6/10)
Sulle origini e la storia di questa città potete leggere qualcosa sulla pagina di wikipedia (http://en.wikipedia.org/wiki/Ferrol,_Spain) ad essa dedicata senza che io vada a scopiazzarla direttamente J. E’ situata nel nord della spagna in un fiordo sull’oceano atlantico che ne ha sempre fatto un luogo ideale per un porto. Infatti è ancora oggi una base navale militare (pare lo sia da secoli) ed è la sede di importanti cantieri navali spagnoli.
I vicoli che partono dalla darsena turistica, sono piuttosto decadenti, se non fatiscenti, ma non li trovo tanto diversi dai centri storici di alcune nostre città di mare. Subito dopo, passando per calle Real, la via principale con i negozi e gli alberghi pare di essere in una qualsiasi cittadina del nord Italia, a me la zona pedonale ricordava un po’ Cremona, se non fosse per le terrazze di tutte le case che sono chiuse da verande con finestre all’inglese e l’immancabile verso del gabbiano presente a tutte le ore del giorno e della notte.
Nelle strade parallele o perpendicolari a calle Real si notano i segni della crisi con molti negozi e locali chiusi ed è forse più per questo che mi ha fatto venire in mente la zona adiacente al centro di Cremona, che quando ci sono stato l’ultima volta aveva molte vetrine “vuote”. Senza neanche saperlo ho prenotato una stanza in uno degli alberghi più belli di Ferrol:
El Suizo è un vero e proprio monumento e quando ci arriviamo davanti mi stupisco che mi abbiano chiesto “solo” 54 € per dormire (siamo in due). Poi quando ci assegnano la stanza capisco subito perché, la camera 703 è in mansarda, ma questo non toglie che sia la miglior stanza d’albergo in cui abbiamo alloggiato nel corso delle nostre (poche e povere) vacanze. Ele ne è entusiasta, le pare di essere in una reggia.
Dopo la doccia mi metto nel letto e quasi non mi alzerei più, però dobbiamo ancora cenare allora ci facciamo un primo giro per il centro e alla fine ci infiliamo al Cantegrill che sembrerebbe una tavola calda molto alla mano, ma scopriamo che fanno anche la pizza (e a quanto apprendo dai commenti su internet fanno la miglior pizza di Ferrol). Io ordino il mio primo “menu del dia” a caso perché provo a chiedere cosa sono certi piatti, ma la stanchezza mi impedisce di tradurre alcunché, mentre Ele mangerà una pizza. Il primo piatto erano quattro panzerotti ripieni di formaggio e prosciutto, mentre il secondo era riso alla cubana (uno sformato di riso con sopra un’intingolo accompagnato da un uovo all’occhio di bue) per poi concludere con dei dolcetti al cioccolato di provenienza uruguaiana (almeno la ricetta). Nella sua semplicità è stato tutto buonissimo, anche le due Estrella Galizia che mi sono tracannato e anche la pizza non era malvagia. Scopro facendo due chiacchiere col proprietario dopo cena che conosce una signora di Brescia... ti pareva! Parliamo anche di calcio ma vista la figuraccia della nazionale mi resta solo da augurare alla Spagna di vincere il mondiale. Sono tutti talmente gentili che ti verrebbe voglia di passare per un boccone anche il giorno dopo, ma domani inizieremo il cammino vero e questa città resterà solo un ricordo. La notte nel letto a tre piazze va via tranquilla, anche se verso le quattro veniamo svegliati da una rissa in strada (e siamo al settimo piano!!) e una volta svegli non si può fare a meno di non notare il solito verso del gabbiano che gira sui tetti di Ferrol, anche lui che fa le ore piccole.
Giorno 1 – Ferrol – Neda (26/6/10)
Mi sveglio presto anche se stanotte ho dormito poco mentre Ele tira dritto. Infilo qualcosa nello zaino per passare un po’ il tempo ed esco a fare un giro. Sul pianerottolo, mentre aspetto l’ascensore, guardo fuori dalla finestra e sul tetto della casa adiacente c’è colui che mi ha tenuto sveglio stanotte. Il gabbiano probabilmente abita lì. Noto anche che dev’essere piovuto di prima mattina, per la strada ci sono pozzanghere e il cielo è nuvoloso. Prendo le credenziali e vado all’ufficio del turismo nel palazzo della Xunta de Galizia che dovrebbe aprire anche il sabato dalle 10 alle 12,30 in questo periodo per mettere il primo sello. All’ingresso c’è una guardia armata e il metal detector da attraversare, poi si va al primo piano dove un impiegato che parla italiano meglio di me mi da tutte le spiegazioni del caso, anche quelle che non mi servono, una guida (in italiano) e una bella mappa della città con le indicazioni per dirigersi verso Neda, e infine mette il primo timbro sulla credenziale e ....buen camino. Appena riaccendo il cellulare uscendo dal palazzo (non so per quale motivo, ma la guardia mi aveva chiesto di spegnerlo) mi arrivano i messaggi di Ele che si è fatta prendere dal panico quando non mi ha visto nella stanza J La raggiungo e ce ne andiamo, zaino in spalla pronti a partire, anzi no, pronti a far colazione. Tornando dall’ufficio ho perlustrato la zona e ho trovato un posto dove vendono un sacco di brioche. Sono già le undici e facciamo una colazione abbondante e anche qui assaggiamo una cosa nuova che si chiama “gofer” se non sbaglio che è una specie di brioche con la superficie fatta tipo alveare con quadrati/esagoni vuoti riempiti nel nostro caso con cioccolato. Purtroppo l’abbiamo trovato solo a Ferrol e resterà un dolce ricordo. Ci rechiamo anche in un supermercato per fare qualche provvista e per cercare un coltello, dato che nel bagaglio a mano era vietato portarne uno con se. Ripieghiamo su dei coltelli di plastica da pic nic e ce ne andiamo. E’ già mezzogiorno e calle Real è molto animata, gente che fa shopping, ma anche qualche comitiva di turisti.
Ci avviamo con calma verso la darsena turistica dove cominceremo davvero a camminare e incrociamo il primo pellegrino dei pochi che troveremo su questo cammino e dal passo che sta tenendo credo proprio che non lo vedremo mai più. Anche al porticciolo c’è un chiosco dell’ufficio del turismo e riesco a scambiare due parole con l’impiegata prima che chiuda per andare a pranzo. Poi attraversata la strada c’è una pietra con la targa che indica il punto di partenza dove scattiamo la foto di rito.
E via ora, con calma in un vicolo malandato dove passeggia indisturbato un gabbiano.
Ci avviamo con calma verso la darsena turistica dove cominceremo davvero a camminare e incrociamo il primo pellegrino dei pochi che troveremo su questo cammino e dal passo che sta tenendo credo proprio che non lo vedremo mai più. Anche al porticciolo c’è un chiosco dell’ufficio del turismo e riesco a scambiare due parole con l’impiegata prima che chiuda per andare a pranzo. Poi attraversata la strada c’è una pietra con la targa che indica il punto di partenza dove scattiamo la foto di rito.
E via ora, con calma in un vicolo malandato dove passeggia indisturbato un gabbiano.
La tappa di oggi sarà breve e non c’è nessuna fretta. Abbiamo tempo di fare i turisti, di scattare qualche foto e guardare ancora i negozi del centro per poi avviarci verso la periferia costeggiando sempre il mare.
I primi passi in discesa e incontriamo due donne in bici che giudicano subito la nostra andatura e capiscono che oggi ci fermeremo a Neda. Una delle due ci dice che l’anno scorso hanno fatto il camino ingles in bici e senza zaino e ci consigliano di saltare Neda e andare direttamente a Pontedeume che è più bella e di visitare Cabanas e Betanzos. Mi accorgo di non aver preso il pane quando eravamo in centro allora torno indietro all’ultimo negozio di alimentari incontrato sul cammino e subito mi notano due ciclisti che con molta premura mi avvertono che sto sbagliando strada e che per Santiago si va dalla parte opposta. Sono tutti molto gentili con noi pellegrini.
Ele vorrebbe la conchiglia di Santiago da attaccare allo zaino, ma qui non ne vendono, allora approfittiamo del passaggio vicino ad una spiaggia per cercarne qualcuna. L’Atlantico ha buttato sulla riva solo i gusci di grosse vongole, ma anche conchiglie simili a quelle che stavamo cercando, solo piatte e un po’ fragili e sempre rotte. Ne teniamo qualcuna per ricordo, ma compreremo quella che cerchiamo nei negozi di souvenir nella città santa. Uscendo dalla spiaggia mi accorgo di avere della sabbia in una scarpa che non è malconcia, ma che è comunque a fine carriera e questo non è un buon segno. Spero che resistano per i prossimi 110 km.
Giriamo attorno al fiordo passando una zona industriale e cominciando a incrociare l’Autovia dell’Atlantico, un’infrastruttura che incroceremo spesso sul nostro cammino. Incontriamo anche i primi sentieri nei boschi e le prime salitelle. Ele che in pianura, forse per eccessivo entusiasmo, mi distacca sempre comincia a faticare.
Ci vorrebbe un bastone (lei ne vorrebbe due, da trekking) e prima di arrivare a Neda seguo un sentiero in un boschetto trovo subito il bordone che fa per lei (o forse è il bastone che si è fatto trovare…. ). I questo primo tratto il camino ingles incrocia altri due cammini “locali” di cui non ricordo il nome simboleggiati da un pesce rosso e le “nostre” frecce gialle si mischiano a delle frecce bianche e rosse. Ho con me la guida di Mr. John Walker che consulto ogni tanto e mi accorgo che ci sono due punti con la pietra senza mattonella segnavia e la freccia gialla che contraddice la guida: ho seguito la guida e non mi sono perso.
Tra Xubia e Neda troviamo parecchie fontane di acqua “pubblica” con la potabilità garantita dalla Xunta de Galizia, ma consiglierei di berla solo a chi si trova al limite della disidratazione perché ha il sapore simile all’acqua della nostra piscina!
Arriviamo a Neda alle 17 ed esce anche il primo raggio di sole della giornata. C’è molta gente sulla riva del fiume, pare ci sia la prima tappa del campionato gallego di moto d’acqua, ma non passiamo inosservati. Sull’altra sponda, attraversato un bel ponte pedonale di legno c’è l’albergue del pellegrino.
La struttura è perfettamente in ordine e non è così isolata come avevo letto da qualche parte su internet. Davanti ad esso c’è un grande spazio verde con alberi e un paio di tavoli di legno con panche e molti ragazzini che giocano. Al suo interno troviamo altri tre pellegrini, una coppia di danesi (dormono) e un tedesco, Willy, il pellegrino che avevamo incrociato questa mattina a Ferrol. L’albergue non ha hospitalero, ma è gestito dagli addetti della protezione civile che ogni tanto dopo le 16 passano da qui per vedere se è arrivato qualcuno, registrarlo, timbrare la credenziale e dare le spiegazioni del caso. Tra l’altro ci hanno consegnato le chiavi nel caso avessimo voluto uscire a fare festa (alle 23 bisogna chiudere) ma non le useremo. Inoltre accanto c’è una palestra dove alloggerà una comitiva di giovani pellegrini e l’addetto si deve occupare anche di loro. Facciamo la doccia, il primo bucato dato che per avere lo zaino il più leggero possibile abbiamo preso il minimo indispensabile e 10€ di spesa al supermercato vicino per farci da mangiare. La cucina dell’albergue è bella ma mancano molte cose, però riusciamo a cucinarci comunque un bel piattone di spaghetti e uova sode con prosciutto, quanto basta per riempirci la pancia. Arriva anche una famiglia spagnola con figli adolescenti (peccato che i nostri siano rimasti a casa), ma ci scambiamo solo qualche saluto. Alle prime luci del tramonto Ele è ancora indaffarata a sistemare il suo bastone cercando di renderlo più bello e confortevole togliendogli un po’ di corteccia, mentre io butto giù qualche riga nel tentativo di tenere un diario di questo nostro viaggio. Era molto che non scrivevo, la biro va da sola ed è anche rilassante. Internet e la tv non mi mancano oggi. Malgrado la tappa non sia stata dura andiamo a letto “stanchi”. Alle 3 del mattino mi sveglio e sento della musica, da qualche parte là fuori ci dev’essere una festa che sta per finire. Sarà un caso, ma tutte le notti fino a Santiago mi sveglierò a quest’ora.
Giorno 2: Neda – Miño (27/6/10)
Alla fine ci svegliamo tardi anche questa mattina; la prima notte con gli altri pellegrini è andata via liscia (non che non ci sia abituato, ho fatto il militare….) anche se avrò dormito si e no cinque ore, mentre Ele russava che è un piacere. Il tedesco e i due danesi sono mattinieri, fanno colazione e partono. Cominciano i primi acciacchi: Ele suda freddo e ha forti dolori mestruali e si deve rimettere a letto per mezz’ora prima che gli passino. Partiamo alle nove e mezza mentre la famiglia spagnola sta ancora sistemando le proprie cose (sono stracarichi, mi fanno venire il dubbio che siano in macchina J ). Costeggiamo per un po’ il fiume ammirando la natura, quindi passiamo per il centro storico di Neda (niente di particolare) e se non fosse per un simpatico señor avrei sbagliato subito strada.
Non abbiamo ancora fatto colazione, allora ci fermiamo al Cafè Hermida che è sul cammino ed era pubblicizzato con un cartoncino sul muro dell’albergue con lo slogan “noi vi facciamo la colazione!”. Mi aspettavo chissà cosa, invece il bar è deserto e ha anche la macchina del caffè spenta e dobbiamo aspettare che si scaldi.
Anche la simpatica vecchietta dietro al bancone si scandalizza quando gli ordiniamo solo il caffè e nada leche, che sembra che in Spagna si beva solo col latte. Poi però ci offre anche una fetta di torta di Santiago e ci regala una biro e un quadernetto per annotare gli appunti del cammino. La signora Henerosa (di nome e di fatto) si è meritata una foto con Ele e un angolino nei nostri ricordi.
Fuori Neda inizia un percorso con alcune salite belle dure, ma strada facendo mi accorgo i continui saliscendi avrei potuto evitarli se invece di seguire le frecce gialle avessi seguito la strada principale. Questo cammino sarà fatto spesso così con tante deviazioni per cercare panorami o la tranquillità delle strade secondarie o dei sentieri tra i boschi.
Cominciamo ad incontrare i primi lavaderos che sono fontane con vasche usate anticamente per lavare i panni dai quali prendiamo ombra e acqua fresca anche perché quando siamo partiti minacciava pioggia, invece camminando è uscito un timido sole e comincia a fare caldo davvero.
Sarà lo zaino, ma quando passiamo quasi tutti ci salutano e ci augurano buen viaje.
Mi capita un paio di volte di sbagliare strada e comincio a pensare che la mia traduzione della guida in inglese abbia qualche lacuna, comunque chiedendo qua e la abbiamo trovato la retta via anche se una commerciante ci ha mandato totalmente fuori strada.
I primi undici chilometri fino a Cabañas sono quasi tutti tra i boschi. Ho le gambe dure, ma il peso dello zaino che prima della colazione si faceva sentire ora pare diminuito.
Cabañas è una località turistica. C’è una bella spiaggia alla fine
della pineta con tanti chioschi e bar dove poter mangiare. Abbiamo ancora qualche provvista presa a Neda il giorno prima e decidiamo di sederci su una panchina all’ombra e mangiare quello che abbiamo nello zaino. C’è tanta gente in spiaggia e altrettanta sotto i pini a fare pic nic. Nel mare quasi nessuno e il perché lo capisco appena ci metto piede: l’acqua è gelida e ci vuole coraggio per tuffarsi; i miei piedi comunque “ringraziano” J.
della pineta con tanti chioschi e bar dove poter mangiare. Abbiamo ancora qualche provvista presa a Neda il giorno prima e decidiamo di sederci su una panchina all’ombra e mangiare quello che abbiamo nello zaino. C’è tanta gente in spiaggia e altrettanta sotto i pini a fare pic nic. Nel mare quasi nessuno e il perché lo capisco appena ci metto piede: l’acqua è gelida e ci vuole coraggio per tuffarsi; i miei piedi comunque “ringraziano” J.
Dopo aver riposato e preso un caffè partiamo, ma dopo mezzo chilometro mi accorgo di aver perso la guida e torno indietro a cercarla preso “inutilmente” dal panico. La ritrovo nella pineta e nel frattempo ritrovo anche Willy che ha da poco finito di mangiare e se ne va tranquillamente per la strada sbagliata. Lo chiamo e facciamo un po’ di strada insieme. E’ di Monaco di Baviera, è pensionato e non è il suo primo cammino di Santiago. Si ferma spesso a fotografare per cui ci lasciamo dopo il ponte sull’Eume.
Seguiamo il cammino attraverso la cittadina di
Pontedeume in un percorso tutto per un salita che sembra non finisca mai. Alla fine c’è una bellissima vista ma siamo a pezzi. Iniziano di nuovo i passaggi nei boschi ancora in salita. Ele le soffre mentre a me fanno male le gambe in discesa (che coppia!). Willy ci raggiunge e ci supera mentre stiamo cercando refrigerio all’ennesimo lavadero: ci fermiamo a tutti quelli che troviamo per rinfrescarci e cambiare l’acqua
delle borracce, dato che dopo pranzo è uscito il primo sole vero ed è una mazzata. Nel bosco troviamo anche una fontanella e un’altra area per riposare. Anche il tedesco si ferma spesso a riposare per cui facciamo ancora dei tratti di cammino insieme fino all’area pic-nic presso il ponte sul Baxoi (alla fine di una discesa, di fronte ad una ditta che commercia opere in calcestruzzo che si chiama “guntin” .....vedi guida...) dove c’è una fontana di acqua fresca e tanta ombra. Dopo mezz’ora di sosta e una chiacchierata in anglospagnoitalotedesco con willy (al quale regalo la mia guida di J. Walker in inglese) ripartiamo insieme verso Miño, ma poco dopo mi accorgo di aver smarrito ancora la mia guida in italiano (la tengo infilata tra le cinghie dello zaino) e torno indietro a cercarla. Prima di raggiungere i miei compagni di viaggio passo mezz’ora da solo. Arriviamo al paese e all’albergue del pellegrino faticando ancora per qualche salitella. Giunti alla meta scopriamo che l’albergue è chiuso. Fuori ci sono i due danesi che hanno già chiamato l’addetto della protezione civile che aveva promesso che sarebbe arrivato i lì a poco ma è già un ora che aspettano e non si è fatto vivo nessuno. È domenica e c’è la festa del paese e la funzionaria pare sia scazzatissima. Nel frattempo parliamo (più o meno) di calcio, di cibo, del cammino, e dopo un’ora buona arriva “l’hospitalera”. Sì è unito ai pellegrini anche un ragazzo romano (Alessandro, riconosco subito che è italiano dal “Garzanti” che esce dallo zaino), poi arriverà anche un giovane spagnolo (David) pieno di vesciche ai piedi e per ultimi la famigliola spagnola di ieri che a giudicare dalle facce non hanno la macchina J. L’albergue pulito e ordinato è più piccolo e meno confortevole di quello di Neda. La doccia fatta è rigorosamente fredda e l’attrezzatura in cucina scarseggia, ma ci si può vivere qualche ora. Salgo in paese in cerca di cibo. Ele è distrutta ed è rimasta al rifugio a fare il bucato per cui dovrò portarle qualcosa. Due panini giganti con hamon cerrano e del buon polpo alla feria saranno la nostra cena. Il sole non tramonta mai da queste parti ma per noi è già ora di dormire anche se, come a Neda, c’è la festa che chiama coi suoi rumori e la sua musica. Abbiamo deciso di arrivare fino a Bruma facendo tutta la tirata e dovremmo alzarci presto.
Pontedeume in un percorso tutto per un salita che sembra non finisca mai. Alla fine c’è una bellissima vista ma siamo a pezzi. Iniziano di nuovo i passaggi nei boschi ancora in salita. Ele le soffre mentre a me fanno male le gambe in discesa (che coppia!). Willy ci raggiunge e ci supera mentre stiamo cercando refrigerio all’ennesimo lavadero: ci fermiamo a tutti quelli che troviamo per rinfrescarci e cambiare l’acqua
delle borracce, dato che dopo pranzo è uscito il primo sole vero ed è una mazzata. Nel bosco troviamo anche una fontanella e un’altra area per riposare. Anche il tedesco si ferma spesso a riposare per cui facciamo ancora dei tratti di cammino insieme fino all’area pic-nic presso il ponte sul Baxoi (alla fine di una discesa, di fronte ad una ditta che commercia opere in calcestruzzo che si chiama “guntin” .....vedi guida...) dove c’è una fontana di acqua fresca e tanta ombra. Dopo mezz’ora di sosta e una chiacchierata in anglospagnoitalotedesco con willy (al quale regalo la mia guida di J. Walker in inglese) ripartiamo insieme verso Miño, ma poco dopo mi accorgo di aver smarrito ancora la mia guida in italiano (la tengo infilata tra le cinghie dello zaino) e torno indietro a cercarla. Prima di raggiungere i miei compagni di viaggio passo mezz’ora da solo. Arriviamo al paese e all’albergue del pellegrino faticando ancora per qualche salitella. Giunti alla meta scopriamo che l’albergue è chiuso. Fuori ci sono i due danesi che hanno già chiamato l’addetto della protezione civile che aveva promesso che sarebbe arrivato i lì a poco ma è già un ora che aspettano e non si è fatto vivo nessuno. È domenica e c’è la festa del paese e la funzionaria pare sia scazzatissima. Nel frattempo parliamo (più o meno) di calcio, di cibo, del cammino, e dopo un’ora buona arriva “l’hospitalera”. Sì è unito ai pellegrini anche un ragazzo romano (Alessandro, riconosco subito che è italiano dal “Garzanti” che esce dallo zaino), poi arriverà anche un giovane spagnolo (David) pieno di vesciche ai piedi e per ultimi la famigliola spagnola di ieri che a giudicare dalle facce non hanno la macchina J. L’albergue pulito e ordinato è più piccolo e meno confortevole di quello di Neda. La doccia fatta è rigorosamente fredda e l’attrezzatura in cucina scarseggia, ma ci si può vivere qualche ora. Salgo in paese in cerca di cibo. Ele è distrutta ed è rimasta al rifugio a fare il bucato per cui dovrò portarle qualcosa. Due panini giganti con hamon cerrano e del buon polpo alla feria saranno la nostra cena. Il sole non tramonta mai da queste parti ma per noi è già ora di dormire anche se, come a Neda, c’è la festa che chiama coi suoi rumori e la sua musica. Abbiamo deciso di arrivare fino a Bruma facendo tutta la tirata e dovremmo alzarci presto.
Giorno 3: Miño – Hospital de Bruma (28/6/10)
Uno sguardo all’altimetria del cammino avrei dovuto farlo prima di partire e
pensarci tre volte prima di fare una tappa come quella che ci apprestiamo a fare. Invece l’immagine che vedete li sopra l’avevo proprio dimenticata e ho deciso di partire senza pormi il problema se farne solo metà, magari dormendo in qualche scuola o palestra messa a disposizione dalle comunità che incontreremo sul cammino perché nei prossimi 40 (o più) chilometri non ci sono rifugi per pellegrini. Ho
messo al corrente Ele della lunghezza di questa tappa, ma pur sapendo che qualche altro ospite dell’albergue si era preso la briga di cercare un treno o un autobus per il giorno dopo, ha voluto anche lei proseguire con me.
Naturalmente come le ultime due notti ho spalancato gli occhi verso le tre, giusto in tempo per sentire gli ultimi suoni provenienti dal centro di Miño, musica da ballo latino americano che va tanto di moda anche dalle nostre parti.
Poi ho sonnecchiato fino alle cinque e completati i preparativi in punta di piedi siamo partiti verso le sei. È ancora buio e l’aria è fredda. Il bucato di ieri non è completamente asciutto, allora con le mollette attacchiamo qualcosa agli zaini.
A pochi metri dall’albergue c’è una palestra e
vediamo che anche lì qualcuno è già sveglio e sta preparandosi per la giornata: lì alloggia la comitiva di ragazzi che si era fermata a Neda e qualcuno degli adulti che li accompagna si sta già dando da fare attorno a qualche fornello da campo, probabilmente per preparare le colazioni.
Noi per ora la colazione la saltiamo nella speranza di trovare sul cammino qualche bar aperto.
Usciti da Miño dopo il ponte “do Porco” ci aspetta subito una salita infernale. Fino a Betanzos è un continuo saliscendi nei boschi tra piccoli borghi dove non si trova un bar aperto. Per strada però si trovano molte zone con fontane o levaderos dove ci si può riposare e rinfrescarsi. Dopo due ore di cammino ci siamo accorti che Ele ha perso i suoi pantaloni che aveva steso sullo zaino e dato che secondo lei la colpa è mia (dovevo starle dietro invece di andare sempre forte in salita) torno indietro per un chilometro correndo libero dal peso dello zaino senza trovarli. Un peso in meno da portare. Nel frattempo però ho recuperato due bastoni nel bosco della misura giusta per lei sperando che le possano servire.
Arriviamo a Betanzos prima di nove e mezza: tanto
per capire ci abbiamo messo quasi tre ore e mezza per fare meno di nove chilometri, con il nostro solito passo calmo, ma anche per le tante salite e soste che abbiamo fatto. Abbiamo fatto un breve giro nel centro storico e poi verso il centro della città nuova camminando per un’altra salita ripidissima. La piazza principale è già piena di gente nei negozi e nei bar aperti (in periferia non apriva nessuno prima di 9:30!). Tra molti bar eleganti ci fermiamo in quello più alla mano per un caffè doppio e croissant (doppi) all’aperto. Il freddo ormai è sparito e ci aspetterà una giornata rovente.
Mentre Ele finisce di far colazione approfitto per far timbrare la credenziale all’ufficio del turismo che è proprio nella piazza e chiedo indicazioni per uscire dalla città. Poi approfittiamo dei negozietti per fare provviste: le informazioni in mio possesso mi dicono che dopo Betanzos ci sarà un altro posto dove rifocillarsi, ma poi più nulla per chilometri: pane, chiorizo, frutta, acqua e coca cola a volontà. Uscendo dalla città, nei pressi del monumento al pellegrino (sempre in cima ad una salita, tanto per cambiare), troviamo un paio di piccoli cani aggressivi che vorrebbero impedirci il passaggio, ma si calmano subito alla vista del bastone (io l’avevo preso solo per questo).
Alle tredici, dopo un paio d’ore di boschi e sole a picco, dove tra l'altro abbiamo trovato un sacco di cartelli che pubblicizzavano un numero di telefono per chiamare il taxi, nei pressi di Limiñon o giù di lì, troviamo un piccolo cimitero con l’immancabile chiesetta al centro che facendo ombra ne fanno un
luogo perfetto per fermarsi, riposare e pranzare. Devono averla pensata come noi anche altri tre giovani pellegrini spagnoli che se ne stanno sdraiati per terra a sonnecchiare; uno di loro apre un occhio e sorridendo ci augura “buen camino”.
Ci fermiamo. Appoggiati al muro mangiamo solo un po’ di frutta e usiamo la fontanella con un secchio di pietra alla base per bagnare i piedi. È bastato davvero poco per farci ritornare le energie. Dopo mezz’ora siamo pronti a ripartire e in quel momento arrivano anche Alessandro e David che sono partiti un’ora dopo di noi questa mattina e ci hanno già raggiunti. Per tutto il giorno sarà un continuo rincontrarci sul cammino, loro ci superano sempre, poi li raggiungiamo quando si fermano a riposare. Anche i tre spagnoli quando camminano vanno come treni, ma poi li troviamo seduti da qualche parte nei boschi, magari a cucinare qualcosa col fornellino da campeggio. In una casa (grazie anche ad Alessandro e David che ci sono arrivati prima di noi) ci offrono acqua fresca ed è un vero sollievo perché non c’è un filo di vento, il caldo non è afoso, ma si fa sentire e nei boschi gli alberi non fanno ombra abbastanza per avere un po’ di frescura. Passiamo poi per il bar Julia, avrei preso un gelato, ma non trovo nessuno al banco.
Andiamo avanti, la guida dice che c’è una fuente con acqua freschissima sulla riva di un torrente, ed è vero, ma c’è attaccato il simbolo di “non garanzia di potabilità”. Ci rinfreschiamo solamente, ma poi arriva un hombre del luogo che la beve senza problemi e ci spiega che l’acqua arriva da un lago in cima ai monti e la giunta non avendola trattata non può garantirla. Ne bevo subito un litro e riempio le borracce. Ci riposiamo bene perché da lì ci sono ancora dieci chilometri di cui almeno tre di salita bella dura. Il primo tratto su asfalto è pendente, ma sopportabile. Ele già annaspa, ma su una seat ibiza grigia arriva Benigno, l’hospitalero di Bruma che sta facendo un giro per controllare se stanno arrivando dei pellegrini: si offre di portare all'albergue almeno gli
zaini, ma io stoicamente rifiuto, anzi spero proprio che Ele accetti un passaggio e si faccia portare, perché è proprio distrutta. Invece vuole finire la tappa, ma cede lo zaino al signore e proseguiamo. Sono le diciassette. Il señor ci dice che tra un paio d’ore saremmo arrivati andando con calma.
Ci sono quei tre chilometri davvero terribili: non ho mai sofferto nessuna salita in questo cammino, ma questa mi ha tolto davvero il fiato. Andiamo pianissimo e ci fermiamo mille volte. Ele senza zaino sembra andare meglio, ma la pendenza stronca subito la sua voglia di camminare ritrovata, poi, poco alla volta, superiamo anche questa. Non so quanto ci abbiamo messo, di certo più di un’ora. Subito dopo ci si può dissetare e la salita si fa
talmente dolce che sembra pianura, ma mancano ancora più di sei chilometri.
Beniño e Carmen, gli hospitaleros di Bruma sono ormai un’istituzione del camino ingles, sia perché sono gli unici, sia per la passione con cui svolgono “questa missione”. Ad ogni pellegrino che arriva viene mostrato il rifugio, assegnato il letto, ordinato anche la cena dal albergo vicino (Meson Novo) per chi è troppo stanco per cucinare o non ha voglia di farsi altri due chilometri per raggiungere l’unico ristorante della zona. Abbiamo fatto un po’ di casino per il sello perché Ele non trovava più la carta d’identità, ma poi tranquillamente ci siamo fatti la doccia mentre aspettavamo l’ottima cena, pasta fredda per due, carne asada per Ele, merluzzo per me, e torta di Santiago; oggi ho fatto io il bucato (poca roba, come sempre) e poi due chiacchiere prima
di andare a letto distrutti. E qui apprendiamo che il tedesco e i due danesi non sono riusciti a finire la tappa e hanno approfittato del taxi per farsi venire a prendere nei boschi :-) e guardano tutti mia moglie con molto “respect” per avercela fatta. Facciamo qualche foto perché probabilmente non si fermeranno a Sigueiro, ma raggiungeranno direttamente Santiago con altri mezzi. La famiglia spagnola e la comitiva di ragazzi (che pare fossero attesi all’albergue) non sono arrivati, avranno saggiamente diviso la tappa in due parti, in compenso c’è un altro pellegrino spagnolo e Fiorella, una signora anglo italiana originaria di Bologna che fa solo qualche chilometro al giorno godendosi con tutta tranquillità le bellezze di questo cammino. La giornata termina ed è bastato avvicinarmi al letto per addormentarmi. Anche stanotte ho aperto gli occhi mentre tutti dormivano ma è stato solo un attimo, troppo stanco per pensare ad altro tiro dritto fino a quando mi sveglieranno.
di andare a letto distrutti. E qui apprendiamo che il tedesco e i due danesi non sono riusciti a finire la tappa e hanno approfittato del taxi per farsi venire a prendere nei boschi :-) e guardano tutti mia moglie con molto “respect” per avercela fatta. Facciamo qualche foto perché probabilmente non si fermeranno a Sigueiro, ma raggiungeranno direttamente Santiago con altri mezzi. La famiglia spagnola e la comitiva di ragazzi (che pare fossero attesi all’albergue) non sono arrivati, avranno saggiamente diviso la tappa in due parti, in compenso c’è un altro pellegrino spagnolo e Fiorella, una signora anglo italiana originaria di Bologna che fa solo qualche chilometro al giorno godendosi con tutta tranquillità le bellezze di questo cammino. La giornata termina ed è bastato avvicinarmi al letto per addormentarmi. Anche stanotte ho aperto gli occhi mentre tutti dormivano ma è stato solo un attimo, troppo stanco per pensare ad altro tiro dritto fino a quando mi sveglieranno.
Giorno 4: Hospital de Bruma – Sigueiro (29/6/10)
E vengo svegliato alle sette, ma il mio corpo avrebbe dormito fino a mezzogiorno. La tappa di oggi non è difficile ma è un po’ lunga, meno di trenta chilometri comunque. Ele è raffreddata, ma si è svegliata con buono spirito e voglia di partire. Ieri non ho scritto nulla e dopo uno spuntino con la torta avanzata il giorno prima butto giù qualche appunto anche se credo che la tappa di ieri la ricorderemo per tutta la vita :-). Alla fine siamo gli ultimi a partire e facciamo un po’ di strada con Fiorella. Vive a Londra e dice che fa il cammino come “ringraziamento” per i cinquant’anni di matrimonio. Sul momento la cosa è passata senza che me ne accorgessi, ma sarà solo scrivendo queste poche righe a casa che mi verrà in mente quello che mi aveva detto la signora Manzoni sulle motivazioni più disparate per percorrere il cammino di Santiago e ricorderò che ci aveva parlato sicuramente di lei. (questa cosa mi spiazza un po’, non credendo al destino, alle coincidenze, alle provvidenze...). Dopo alcuni chilometri in leggera discesa arriviamo a un bar e ci separiamo da Fiorella che prenderà un autobus per A Coruña: dev’essere bello andarsene a zonzo per il mondo senza l’ossessione di un lavoro che ti aspetta a casa, ho voglia di andare in pensione!
Al bar bevo il peggior tè cha abbia mai bevuto in vita mia e mangiamo kit kat. Al secondo bar che incontriamo poco dopo prendiamo dei panini per il pranzo: oggi non guarderò la guida, che già ho seguito poco ieri, e da quello che ho capito da Beniño non dovrebbe esserci più niente da qui a Sigueiro. Ma avevo capito male dato che sul cammino troviamo ancora un paesino con un bar-ristorante dove incontriamo Alessandro e David che stanno mangiando. Prendiamo da bere e mangiamo i nostri panini. C’è poco da raccontare: si scende dalla collina attraverso i boschi e si incontra qualche casa isolata. Dopo circa venti chilometri siamo in pieno pomeriggio e il sole morde sulle nostre spalle. Ci fermiamo in una casa a chiedere acqua che non ci rifiutano. In questa tappa, a parte i bar, non abbiamo incontrato punti di ristoro come lavaderos o fuentes che si incontravano spesso fino a ieri; inoltre ci sono almeno quattro o cinque chilometri tutti diritti su una strada sterrata in mezzo ai boschi. C’è qualche saliscendi, ma il paesaggio è piuttosto noioso. Per fortuna le salite sono poche e non si fa una gran fatica.
Alessandro e David ci superano anche oggi, mentre ritroviamo accampati nel bosco il trio spagnolo che non ha mai fretta di arrivare e stanno facendo una siesta.
Infine si giunge alla periferia di Sigueiro e perdo le frecce gialle nei pressi della zona industriale. Anche prendendo la guida non riesco a ritrovare il cammino e allora entro da un meccanico e chiedo le indicazioni per arrivare al palazzetto dello sport (pavillon polideportivo) dove dormiremo questa notte: i pochi albergues per i pellegrini del camino ingles infatti finiscono a Bruma e non c’è altra sistemazione se non l’hostal Miras in paese (ma che è stato sconsigliato da un pellegrino su un forum tra i tanti che ho letto).
Arrivati alla palestra c’è già Alessandro seduto fuori in compagnia di una sua amica con la quale aveva appuntamento proprio lì, mentre David e all’interno con la signora Gemma che si occupa di accogliere i pellegrini qui a Sigueiro. Anche lei ci mette una gran passione in quello che fa e ti sommerge con un fiume di parole spiegando mille volte come funziona,
come ci si deve comportare nel caso di attività in palestra, dove poter mangiare e magari guardare la partita: un monumento a questa signora!
come ci si deve comportare nel caso di attività in palestra, dove poter mangiare e magari guardare la partita: un monumento a questa signora!
Facciamo una doccia bollente e il bucato e dato che c’è molto posto stendiamo sul filo che ci siamo portati da casa. In questi giorni la macchina fotografica mi è caduta parecchie volte e solo ora mi accorgo che ha qualche problema al software, ma scatta ancora. È presto, le forze per uscire a fare un giro sono davvero scarse, abbiamo ancora nelle gambe la marcia del giorno prima allora ce ne stiamo un po’ sulle tribune a riposare e a scrivere qualche riga sul diario del pellegrino. Dobbiamo cenare e ci rechiamo claudicanti a “el Cortes” dove c’è un gran fermento per la partita Spagna – Portogallo, derby molto sentito qui in Galizia, e troviamo a fatica un posto per due. Mangiamo bene e spendiamo poco nel caos del tifo calcistico.
Dopo le ventidue c’è ancora il sole e ci sono i negozi aperti per cui prendiamo qualcosa per il giorno dopo. Il silenzio della strada deserta viene rotto da un urlo collettivo: la Spagna ha fatto goal, questa scena mi ricorda tanto un film di Fantozzi. Giungiamo alla palestra troppo presto e ci rassegniamo ad aspettare gli altri con le chiavi, ma fortunatamente incontriamo Gemma che abita li vicino e ci apre. Non faccio a tempo a mettermi nel sacco a pelo che sto già dormendo.
Giorno 5: Sigueiro – Santiago de Compostela (30/6/10)
C’era il vento stanotte che entrando dalle finestre aperte sulla parete opposta faceva rumoreggiare la copertura del palazzetto, o almeno così mi è sembrato quando ho aperto gli occhi sempre verso le tre. Comunque ci siamo svegliati di buon ora, la nostra intenzione sarebbe quella di arrivare a Santiago prima di mezzogiorno per la messa del pellegrino.
Anche oggi Ele ha un problema: dormire sul materasso per terra gli ha provocato un bel torcicollo, che unito al mal di piedi, il raffreddore e forse qualche linea di febbre renderà questa tappa piuttosto breve (sono solo sedici chilometri) un calvario. Carico qualche cosa in più nel mio zaino per alleggerire il suo, ma naturalmente non c’è verso
di caricarla su un autobus o un taxi e per un po’ di strada mi rassegno a sopportare i suoi lamenti legittimi, ma duro poco: è un suo modo di fare che conosco bene, quando ha qualcosa per sopportarlo meglio lo fa sopportare a tutti quelli che gli stanno attorno, ma oggi non sono in vena. Prendo su e parto col mio passo e cammino da solo nel silenzio dei boschi fuori Sigueiro. Dopo 50 minuti mi accorgo però che tra le varie cose mi ero attaccato allo zaino anche la sua borraccia con l’acqua allora mi fermo per aspettarla. Ne approfitto per svestirmi, sono le otto ma fa già caldo. Tre
pellegrini spagnoli con tanto di croce al seguito mi passano davanti. Poco dopo arriva la mia “croce”.
L’inizio della tappa è ancora molto bello, si cammina per una decina di chilometri nei boschi, poi ci sono anche alcuni tratti brevi a lato della strada statale, ma solo per collegare altri tratti di sentiero sopraelevato. Ho deciso di far risparmiare a Ele un paio di salite allora percorriamo un tratto sulla statale senza seguire le frecce che ci manderebbero nuovamente sulla collina, infatti dopo mezzo chilometro incontriamo il cammino che scende e si ricongiunge alla strada che abbiamo percorso (che imbroglioni!). Poi si entra da est di Santiago attraverso la zona industriale e la periferia. Qua ci si accorge subito che qualcosa è cambiato: le persone che incontri nemmeno ti guardano e sono tutte troppo indaffarate
per rivolgerti un sorriso. Tutto normale, più la città è grande, più la gente si fa i fatti propri.
Sono da poco passate le undici quando ci avviciniamo al centro storico e si incominciano a intravedere le guglie della cattedrale. Non so perché ma questo tratto è stato molto emozionante, non l’ho fatto, ma avevo voglia di fermarmi e piangere come un bambino (di questo momento ne abbiamo parlato successivamente e so che anche a Ele è successa la stessa cosa). Finalmente anche lei sembra aver ripreso un minimo di buon umore, forse sapendo che le sue fatiche si stavano concludendo. Prima di arrivare in praza de obradorio vengo chiamato dalle immancabili signore che vogliono offrirti un letto per la notte. La piazza è piena di pellegrini e di turisti, la cattedrale è stupenda malgrado sia costruita con
quella pietraccia grigia con cui sono costruiti tutti i palazzi del centro storico. Ci rechiamo all’ufficio del pellegrino per mettere l’ultimo sello e ricevere la compostela; sulla sinistra prima della scala dove finisce la coda di persone in attesa c’è un mucchio di legna, sono i bordoni abbandonati dai pellegrini giunti fin lì. Lanciamo i nostri nel mucchio sapendo che non ci potranno accompagnare fino a casa (non ci sta nel bagaglio a mano). Depositiamo gli zaini e andiamo in chiesa. Troviamo stravaccati sulla scalinata Alessandro, David e Costanza anche loro giunti alla meta,
probabilmente andranno a Fisterra.
Sono le dodici e trenta, la messa è iniziata da poco e non c’è un posto per sedersi. Nella folla vediamo anche la coppia di danesi che probabilmente a Sigueiro ha dormito in albergo. Ci sediamo su un gradino, vicino a una coppia madre e figlia che faticano a stare in piedi.. ..devono averne fatta di strada. Alla fine c’è anche la benedizione col rito del
botafumeiro, molto spettacolare, infatti non c'è persona che non scatti foto o faccia filmati dell’evento.
Dopo la messa ci fermiamo in un ristorantino accanto alla cattedrale per l’ultimo menù del dia, anche qui mangiamo bene senza spendere chissàche.
Nel pomeriggio fa molto caldo e la folla della mattina è sparita dalla piazza. Rientriamo nella cattedrale per fare la visita alla cripta e il rito dell’abbraccio alla statua di san Giacomo. Prendiamo i primi souvenir e ci rechiamo all’ostello che ho prenotato prima di partire. È un po’ lontano dal centro storico per cui mi carico tutti e due gli zaini in spalla perché la voglia di camminare di Ele è pari a zero. L’ostello Santosantiago è un posto più che decente, niente di diverso rispetto alle sistemazioni avute lungo il cammino, solo che è pieno di gente e non c’è la privacy del camino ingles. In più siamo gli ultimi arrivati e dobbiamo accontentarci di due letti al piano “alto” di un letto a castello e questo è un po’ un problema per mia moglie e il suo torcicollo. Tra l’altro mi aspetto sempre gli ostelli come posti frequentati solo da giovani e invece ci saranno stati si e no dieci ospiti più giovani di noi. Dopo esserci sistemati e rinfrescati facciamo un giro al centro commerciale lì vicino e mangiamo qualcosa in un Mc Donald’s prima di andare a dormire. L’unico neo di questo ostello è che ci ha dato l’orario di ingresso notturno: non che volessimo fare le ore piccole, ma di certo la vita notturna di Santiago de Compostela non potrò descriverla questa volta.
A Santiago de Compostela (1/7/10)
Stanotte ho dormito bene e non mi sono mai svegliato forse non c’era più l’ansia o la voglia di mettersi in cammino. Mi dicono che ho russato, ma anche l’ospite del letto di sotto mi sembrava un treno. Oggi passeremo tutto il giorno a Santiago. Dopo aver fatto colazione troviamo una farmacia e cerchiamo qualcosa per il collo di Ele: l’idea sarebbe di trovare dei cerotti tipo quelli che vendono in Italia con rilascio graduale di antidolorifico, ma troviamo solo dei cerotti che sfregati dopo l’applicazione producono calore per otto ore. Col senno di poi possiamo dire che è stata una buona scelta e comunque oggi lo zaino resta in ostello.
Oggi per me è la tappa più dura del cammino: shopping in città.. ..AIUTO!!!!
Invece avvicinandoci al centro ci imbattiamo nel famoso mercato: dentro una vecchia struttura costruita con la pietra tipica compostelliana ci sono tanti negozietti e banchi di macelleria, pescheria, fruttivendoli, venditori di
pane, di formaggi, di souvenir, mentre all’esterno ci sono le contadine che hanno portato in città i prodotti della loro terra, donne che da noi si vedono solo nei filmati in bianco e nero, spesso vestite di nero col foulard nero in testa, con la pelle bruciata dal sole e le mani più grosse delle mie. Caratteristico anche il venditore di polpi che dopo averne bollito uno lo fa assaggiare ai passanti e i curiosi come noi e con le signore di Santiago che vanno da lui con il contenitore
della tapperware per portarlo a casa già pronto.
pane, di formaggi, di souvenir, mentre all’esterno ci sono le contadine che hanno portato in città i prodotti della loro terra, donne che da noi si vedono solo nei filmati in bianco e nero, spesso vestite di nero col foulard nero in testa, con la pelle bruciata dal sole e le mani più grosse delle mie. Caratteristico anche il venditore di polpi che dopo averne bollito uno lo fa assaggiare ai passanti e i curiosi come noi e con le signore di Santiago che vanno da lui con il contenitore
della tapperware per portarlo a casa già pronto.
Il resto della giornata lo passiamo alla ricerca di conchiglie, ciondoli, magliette e altri gingilli per turisti da portare a casa. Facciamo ancora qualche foto in giro e verso le due del pomeriggio ci mettiamo in un bar a mangiare patatine fritte e pimientos del padròn, ahimè buonissimi quanto indigesti che ci hanno provocato qualche dolor. Per la cena è una bella lotta tra me che vorrei andare alla “pulperia Concheiros” vicino all’ostello, uno dei locali caratteristici consigliato da guide e da alcuni ospiti del Santosantiago e Ele che invece, dimentica del fatto che domani torniamo a casa, vorrebbe andare in un ristorante italiano. Anche stavolta faccio scegliere alla signora, ma cosa è certa: nei prossimi viaggi all’estero non entreremo più in un ristorante italiano, nemmeno per pisciare!
La fermata per l’aeroporto è a circa duecento metri dall’ostello, per cui oggi dormiamo un po’ più del solito e per la prima volta coi tappi per non rischiare.
Ritorno a casa (2/7/10)
Oggi piove a Santiago. Ci avviamo alla fermata verso le nove e un quarto e vediamo arrivare i tanti pellegrini dal cammino francese tutti coperti coi ponchos impermeabili. I miei abiti da pioggia invece sono rimasti sempre in fondo allo zaino. Li saluto tutti, tanto per qualche anno sentirò parlare di loro solo su facebook.
Il ritorno lo facciamo come all’andata: Santiago – Madrid e Madrid – Bergamo. A Madrid pranziamo con le “empanadas” comprate a Santiago e mentre aspettiamo qualche ora per il prossimo aereo facciamo le ultime compere al terminal. Avrei fatto volentieri anche un giro in città, ma non volendo rischiare di perdere l’aereo siamo restati lì ad annoiarci un po’.
Finalmente al ritorno riesco a stare accanto al finestrino così da aver avuto finalmente la sensazione di aver volato davvero. Quando scendiamo a Bergamo abbiamo addosso ancora il giubbino di stamattina ma qui fa un caldo umido e appiccicoso. Benvenuti in padania!
Grazie, utilissimo!
RispondiEliminaClaudia
felice di esserti stato utile. Ultreya!
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